C'era una volta una grande
foresta magica e maestosa.
Dentro questa grande foresta
vivevano ogni sorta di animali. Fra questi animali, vi erano una formica e una
cicala.
La formica era una gran
faticatrice, passava le sue giornate adempiendo ai suoi impegni, costruendo il
suo formicaio e cercando in giro il cibo che le sarebbe servito per affrontare
il lungo inverno.
La cicala, dal canto suo,
trascorreva tutta la primavera e l'estate appollaiata su una foglia o su un
sasso a cantare e suonare, spesso circondata da tante belle falene che
accorrevano a danzare sulle sue note.
Formica e cicala erano famose in
tutta la foresta, per essere l'una invisa all'altra sin dai tempi dei tempi,
per cui anche gli altri animali della foresta ormai parlavano di loro per come
a volte si sente parlare di cani e gatti o volpi e lepri. D'altronde loro
stesse non lasciavano adito ad ambiguità su ciò che pensassero l'una dell'altra
e non di rado mastro Riccio aveva sentito la formica dire della cicala “quel buono a nulla niente altro fa che
cantare e ballare dalla mattina alla sera, non s'avvede del tempo che passa ne'
guarda al futuro, non ha casa e non ha mestiere, bighellona tutto il giorno con
le amiche sue falene e quando cala la sera resta sveglia fino a tardi e tardi
s'alza la mattina, io proprio non comprendo cosa ne intenta della vita quella!”,
mentre di converso signora Lepre aveva sovente udito parlare la cicala della
formica in questi termini “ah, quello
sciocco senz'amore in null'altro s'adopera che il lavoro, affannandosi a
correre innanzi e addietro, a ponente e levante, tutto impettito con l'aria
urgente di chi non ha tempo per nulla, e nulla vede di ciò che gli sta
d'intorno, della bellezza delle foglie, del sapore della rugiada, della voce
del vento, non vede ciò che il mondo gli dona ogni giorno ne' coglie l'attimo
ma si prepara ad un domani di cui non ha certezze!”.
E questa era la loro vita e tutti
gli animali li guardavano e sospiravano ché già sapevano di altri come loro che
in tempi remoti avevan giocato allo stesso gioco, oggi eran morti e sepolti
senza che mai si fossero ascoltati e così tutti i loro discendenti.
Accadde che un bel giorno un
folletto annoiato decise che per divertirsi avrebbe voluto vedere cosa fosse
accaduto se formica e cicala avessero saputo l'uno delle parole dell'altro.
Egli uscì allora del suo nido nell'incavo di un albero, si lisciò le alette e
se ne svolazzò in cerca di uno dei due.
Trovò cicala intento a cantare e
suonare come al suo solito, si mise ad ascoltarlo ballando a sua volta e quando
che ebbe finito gli si accostò e gli sussurò in segreto tutte le cose che
formica avesse mai detto su di lui, facendolo montare di scorno, rabbia e
indignazione. Il secondo passo fu svolazzare via per trovare formica far con
lei la medesima impresa. Anche formica ne ebbe scorno rabbia e indignazione,
cosicché i due s'incontrarono nella grande radura al centro della foresta e
iniziarono a dirsene e poi a darsene di santa ragione.
In breve si scatenò fra loro una
faida lunghissima di sgarri e scortesie che poi s'espansero coinvolgendo anche
altri animali. In breve la discordia cominciò a diffondersi in tutto il bosco
laddove ad esser messi in mezzo ci finivano anche tanti altri e tutti
cominciarono a mormorare di disappunto.
Il folletto osservò per mesi
l'evolvere di questi sviluppi e ne restò estasiato, fino a che fra un litigio
ed un altro non saltò fuori che era stato lui il responsabile del mutare della
quiete della foresta, avendo egli giocato un ruolo in tutta la vicenda. Molti
allora bussarono al suo albero per reclamare e prendere da lui una soluzione,
ma lui rispose: “e che ne volete da me?
Sono forse io ad aver mentito ogni giorno ora a Formica ed ora a Cicala?
Sapevamo tutti che quei due non si amassero ma nessuno ha mai alzato un dito
per loro, io ho solo tolto il velo dai loro occhi ma colpa non è mia per le
loro e le vostre scelte in merito” ma quelli non vollero sentir ragioni, lo
presero che volevano malmenarlo e allora il folletto spaventato se ne fuggì e
chiese ricovero dal saggio Unicorno della foresta chiedendo a lui aiuto e
protezione.
“A me chiedi di risolvere i tuoi guai giovane folletto ma ascolta le
mie parole, seppur tutti sapessero la situazione ed avessero scelto di tacere
ognun di loro se ne avrà con la sua coscienza, ma tu che invece hai voluto
cambiar le cose ora hai da vedertene con le conseguenze, di tutti tu hai scelto
di porti al centro della scena ed oggi non puoi volar via incurante come se
nulla di ciò ti riguardasse. Una volta imboccato un sentiero, non si torna
indietro. Ora non ti resta che andare sino in fondo. Porta con te Formica e
Cicala preso il Lago delle Risposte e passateci insieme un giorno e una notte”.
Molto perplesso, il folletto
decise che gli sarebbe toccato obbedire o fuggire per sempre, poiché la parola
dell'unicorno è vincolo stringente e una volta udita essa segna il tuo destino.
Non fu affatto facile per
folletto convincere formica e cicala a dargli ascolto e dovette ricorrere ad
uno stratagemma, disse a ciascun di loro di raggiungerlo presso il lago
l'indomani mattina affinché trovassero insieme la risposta ai loro problemi.
L'indomani accadde allora che
folletto si trovasse seduto e sconsolato sulla riva del lago in attesa dei suoi
compagni litigiosi. Formica e cicala arrivarono insieme, da direzioni
differenti e come si videro iniziarono a gridarsi improperi l'un l'altro.
“Tu, sciocco perdigiorno!” disse Formica a Cicala “sappiamo tutti la fine che farai! La vita
tua non dura che un'estate e al calar dell'inverno soccomberai a freddo e fame!”.
“Ma meglio un'estate di vita che mille stagioni da morto ambulante!”
rispose Cicala a Formica “che a volersi
affannare di qua' e di la' senza sosta, lasci indietro vita e bellezza!”.
Tanto s'infuriarono che folletto
impiegò ore ed ore a dividerli e farli calmare ed anche così ci riuscì soltanto
dopo che essi si furono stancati e stremati di gridare e picchiarsi.
Folletto era disperato ed
approfittò del momento di stanchezza per dir loro della parte che aveva avuto
nella loro vicenda. Loro s'accesero allora di nuovo e stavolta contro di lui,
dapprima unitamente e poi riprendendo ad insultarsi anche fra loro. Trascorse
così tutta la giornata.
Arrivarono a sera che erano ormai
tutti stanchi e affamati. Si riposarono per un'oretta sulla riva.
Formica era l'unica che, com'era
avvezza, avesse del cibo con sé e ne aveva in abbondanza. Cicala non la degnò
di uno sguardo mentre il folletto le si avvicinò e le chiese di dividere un po'
di cibo con loro, ché ormai era tardi per cercarne altro d'intorno.
“Perché mai dovrei dividere il cibo che con tanta cura ho accumulato e
conservato? Cos'è, ora fa comodo aver qualcuno che sia previdente? Ma sia! Che
non si venga a dire che Formica è avara, ma ne darò solo a te che me lo chiedi”
e gli diede una porzione abbondante di cibo.
Folletto allora mangiò qualcosa,
ma si volse verso Cicala il cui stomaco ora sembrava voler suonare più di tutti
i suoi strumenti messi assieme, allora divise un po' della sua porzione e si
volse verso di lui dicendogli “oh,
Cicala, prendine un po', non te ne faccio elemosina, ascolta bene: canta per me
una canzone allegra e felice, ché oggi ho sentito troppe parole cattive e il
mio cuore è greve e pesante, per ringraziarti darò a te un po' di cibo” e
Cicala dopo averci pensato un attimo, con aria sostenuta, si risolse di
accettare.
Il canto di Cicala fu davvero
allegro e felice perché uno stomaco riempito dopo tanto strazio è il migliore
dei calmanti e fu così sollevata e si lasciò andare allora, per come era tanto
bravo a fare, in un'esibizione delle sue. Tale fu, che persino Formica poco
distante iniziò a dondolarsi a tempo perché, seppur non sapesse ballare come
Folletto, aveva comunque orecchie per sentire e cuore per goderne.
Dopo il canto, s'addormentarono e
tutti assieme e sognarono.
Cicala si vide sola e affranta al
tramonto della sua vita, circondata di fiocchi di neve freddi e con lo stomaco
vuoto. A nulla gli valse suonare, che le sue dita intirizzite lo facevano
strimpellare come mai si era atteso di fare. Ebbe disgusto della sua arte e
della sua solitudine perché se in tanti avevano ballato alle sue note, ora
ciascuno aveva preso la sua via e il suo destino senza guardarsi addietro.
Formica si vide al caldo nella
sua casa, sazia di ventre e vuota di cuore. Seppe della morte di Cicala e ne
rise a lungo ma di una risata stridula. Un grande orrore la pervase quando,
guardandosi allo specchio, si scoprì a piangere.
Folletto si sognò solo e triste
nel suo albero cavo, tutti lo davano per sciocco e malfidato e temevano a
parlargli dopo che aveva rifiutato di ascoltare le parole dell'unicorno.
D'un tratto, nel sogno di
Folletto bussarono alla porta e quando egli aprì, si trovò innanzi Cicala e
Formica. Anche Cicala e Formica sognarono la stessa cosa e tutti e tre furono
molto felici di vedersi insieme. Formica portò cibo da sfamare tutti e Cicala
cantò e suonò con loro per tutto l'inverno, scaldandosi al fuoco di Folletto.
La primavera infine li colse e venne per loro l'opportunità di separarsi, ma
prima di farlo, vollero scambiarsi dei doni. Cicala diede a Formica il suo
liuto e la sua voce, mentre Formica le diede la sua clessidra e i suoi piedi.
Folletto diede a ciascuno di loro un ciocco di legno del suo camino ed ebbe da
loro il giuramento che sarebbero tornati ogni inverno.
Quando si risvegliarono, la
mattina successiva, tutti e tre ebbero come la sensazione di aver dormito davvero per un intera stagione, eppure non
era trascorsa che una notte.
Si guardarono in faccia e si
raccontarono i loro sogni, tutti stupiti dal prodigio d'aver sognato le stesse
cose. Decisero allora di ritirarsi per davvero nella casa di Folletto e
rimasero insieme per diversi giorni. Cicala iniziò con l'insegnare a Formica le
arti del canto e del ballo, ma Formica qualcosa imparò e molto altro no,
Formica spiegò a Cicala i segreti del suo mestiere e Cicala qualcosa imparò e
qualcosa no. Alla fine tutti e tre si ripromisero di restare amici e rivedersi
spesso a casa di Folletto. Per l'inverno, inoltre, Cicala avrebbe alloggiato un
po' dall'uno e un po' dall'altro, finché non si fosse costruita una casa sua,
ma intanto avrebbe allietato i suoi amici con tutte le belle arti che natura le
aveva donato.
Fu così che, per una volta nella
storia, una cicala ed una formica smisero di farsi la guerra e divennero buone
amiche.
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